In tutta Italia si parla di autismo – 01/04/2016

In tutta Italia si parla di autismo – 01/04/2016

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Un nuovo studio realizzato da CENSIS e AIMA (Associazione Italiana Malattia di Alzheimer), sull’impatto economico e sociale della malattia di Alzheimer, mette in luce i pesanti costi sociali ed economici derivanti dalle carenze del nostro sistema di welfare, evidenziando come la centralità del ruolo della famiglia nello svolgimento del lavoro di cura produca impatti significativi, in termini di salute dei caregiver, di rinuncia o riduzione dell’occupazione, di mancata produzione di reddito e di rischio di impoverimento delle famiglie

È stato presentato nel febbraio scorso lo studio intitolato L’impatto economico e sociale della malattia di Alzheimer: rifare il punto dopo 16 anni, frutto della collaborazione tra il CENSIS e l’AIMA (Associazione Italiana Malattia di Alzheimer).

La ricerca, come richiamato dal titolo stesso, giunge dopo sedici anni dal primo studio realizzato (un secondo risale al 2007) e si propone di analizzare l’evoluzione delle condizioni di vita delle persone con malattia di Alzheimer e delle loro famiglie. L’indagine, a carattere nazionale, ha coinvolto un campione di 425 caregiver (assistenti di cura).

Complessivamente, dunque, questo studio mette in luce gli impatti sociali ed economici della malattia di Alzheimer sulle persone e sulle famiglie, evidenziando i limiti del sistema pubblico di presa in carico. In generale, si rileva un minore ricorso ai servizi territoriali (l’assistenza domiciliare integrata e socio-assistenziale, i centri diurni, i ricoveri in ospedale o in strutture riabilitative e assistenziali), mentre più ampio appare il ricorso al lavoro di cura privato, sebbene la percentuale di chi può contare su una badante risulti lievemente ridotta rispetto al passato (dal 40,9% del 2006 al 38% del 2015).

I costi del lavoro di cura privato ricadono principalmente sulle risorse della persona (per il 58,1%), ma a differenza che nel 2006 si evidenzia anche un più ampio ricorso – oltre che all’indennità di accompagnamento – al denaro dei figli o del coniuge, aspetti, questi, che mettono in guardia rispetto a un progressivo rischio di impoverimento delle famiglie.

Il caregiver rappresenta la figura centrale nell’assistenza della persona con Alzheimer. Il lavoro di cura, infatti, lo impegna mediamente per 4,4 ore di assistenza diretta al giorno e per 10,8 ore di sorveglianza.

Il supporto su cui il caregiver può contare proviene prevalentemente dai familiari (48,6%) e secondariamente da personale a pagamento (32,8%), mentre il 15,8% dichiara di non ricevere alcun aiuto nelle attività di cura.

La possibilità di ricorrere a una badante favorisce una riduzione delle ore giornaliere destinate dal caregiver all’assistenza e alla sorveglianza, e impatta quindi sulla sua disponibilità di tempo libero: se in generale il 47,8% dei caregiver segnala un aumento del proprio tempo libero legato alla disponibilità di servizi e farmaci per l’Alzheimer, tra i rispondenti che possono contare solo sul supporto di una badante, la percentuale cresce di oltre 20 punti percentuali (68,8%) e, ancor più, di circa 30 punti percentuali nel caso in cui alla badante si associno uno o più servizi (77,1%).

Il lavoro di cura impatta inevitabilmente sulla vita del caregiver: sull’accesso e la permanenza nel mercato del lavoro, sulla salute e sulla vita relazionale. Ad affermare infatti di avere avuto cambiamenti nella vita lavorativa è stato il 59,1% dei caregiver attualmente occupati (si pensi ad esempio al ricorso al part-time che coinvolge soprattutto le donne), e il 18,7% di quelli attualmente non occupati, tra i quali il 21,4% ha dichiarato di avere perso il lavoro.

Rispetto poi all’indagine del 2006, la percentuale dei disoccupati risulta triplicata (3,2% nel 2006 e 10,0% nel 2015) e più in generale si osserva un’elevata quota di caregiver in età lavorativa, ma in condizione non professionale (40% circa).

Come detto, l’attività di cura produce ricadute significative anche sullo stato di salute del caregiver, soprattutto se donna, oltre a incidere sul maggiore ricorso ai farmaci, a determinare l’interruzione di attività extra-lavorative e ad impattare negativamente sulla vita relazionale.

Per quanto poi riguarda il sistema pubblico dei servizi di assistenza per persone con Alzheimer, il 56,8% dei caregiver esprime giudizi negativi, percentuale che cresce tra i residenti nel Mezzogiorno (73,1%) e tra i caregiver che usufruiscono di servizi di assistenza e si occupano di malati gravi.

Lo studio di CENSIS e AIMA si concentra infine sui costi diretti e indiretti dell’Alzheimer. I primi identificano le spese sostenute per l’acquisto di beni e servizi. I secondi hanno invece a che fare con la mancata valorizzazione del lavoro di cura e con la perdita di risorse, legate, ad esempio, alla rinuncia all’occupazione.

La ricerca stima dunque che i costi medi siano di 70.587 euro annui per persona con Alzheimer, di cui il 27% circa di costi diretti e il 73,2% di costi indiretti, il tutto per un ammontare complessivo, a carico dei familiari, del Servizio Sanitario Nazionale e della collettività, di oltre 42 miliardi di euro annui, se si considera che sono 600.000 le persone con Alzheimer in Italia.

Tra i costi diretti (pari a oltre 11 miliardi di euro), la quota più significativa è rappresentata da quelli legati all’assistenza informale (60,1%), che è al 100% a carico delle famiglie, così come anche le modifiche dell’abitazione, che rappresentano il 3,1% dei costi diretti. Le spese per l’accesso ai servizi sociosanitari costituiscono, invece, il 19,1% dei costi diretti e sono articolate con quote più consistenti (70% e oltre) a carico del Servizio Sanitario Nazionale per l’assistenza formale, l’Assistenza Domiciliare Integrata (ADI), i centri diurni e un carico equamente ripartito tra lo stesso Servizio Sanitario Nazionale e le famiglie per i ricoveri in strutture sociosanitarie e assistenziali come le RSA (Residenze Sanitarie Assistenziali).

I costi indiretti, invece, rappresentano la quota più consistente del totale (73,2%, pari a quasi 31 miliardi di euro) e sono stimati assegnando un valore monetario all’assistenza prestata dai caregiver, che rappresenta il 97% circa del totale di essi, cui si aggiunge anche la “piccola quota” rappresentata dai mancati redditi di lavoro delle persone con Alzheimer.

In conclusione, la ricerca mette in luce i costi sociali ed economici delle carenze del nostro sistema di welfare ed evidenzia come la centralità del ruolo della famiglia nello svolgimento del lavoro di cura produca impatti significativi, in termini di salute dei caregiver, di rinuncia o riduzione dell’occupazione, di mancata produzione di reddito e di rischio di impoverimento.

Fonte: Superando.it

22/03/2016