La difficile vita tra quattro mura insieme a un ragazzo “speciale”

La difficile vita tra quattro mura insieme a un ragazzo “speciale”

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Mamma Federica, Francesco e l’isolamento forzato a Pineto: una sfida quotidiana per andare avanti L’invenzione di una nuova routine e la lotta per non perdere il coraggio nonostante le difficoltà

PINETO. Francesco ha 17 anni ed è un ragazzo autistico. Non sa nulla di coronavirus, di pandemia o di emergenza sanitaria. Eppure è costretto, anche lui come tutti, a un isolamento che proprio non riesce a capire.

Lo racconta con grande forza d’animo sua mamma, Federica Placchetta, uno scricciolo biondo pieno di coraggio ed energia. E dopo averla sentita, quasi ci si vergogna di essersi lamentati per quel paio di settimane già passate in casa, circondati da ogni comfort.
«Sto sopravvivendo», racconta Fede. «Francesco ha difficoltà cognitive gravi, quindi è difficile per me spiegargli che cosa sta succedendo. Lui ha bisogno di una routine quotidiana, ha bisogno di abitudini e di trovarsi nel suo ambiente. Prima di questa specie di terremoto, era ospitato in un istituto dove aveva impegni quotidiani, faceva attività didattiche, sport. Sono cose che ora gli mancano. Molto più che a noi: le cose che faceva erano la sua unica realtà».
Ha mille cose da raccontare, Federica, tanto che le parole si accavallano nella fretta di uscire. Il tono di tenerezza per suo figlio si sovrappone al desiderio di far capire una situazione che a noi, indaffarati con il problema di far passare il tempo, appare assurda.
«È impossibile spiegare a Francesco che non si può uscire a fare la passeggiata, che se anche la facciamo, non possiamo fare il solito percorso che lui ha memorizzato. Per lui, questo è un trauma. I primi giorni provavo a portarlo su un percorso nuovo, ma si agitava, si innervosiva. Ho dovuto smettere». E continua: «Non è previsto che i disabili abbiano esigenze diverse. Molti non capiscono che per Francesco l’uscita è una esigenza di salute. I carabinieri sono stati gentili, ma non hanno potuto fare nulla per me. Così ho smesso di uscire, per fargli perdere l’abitudine».
Ma com’è la vita in casa con un ragazzone alto 1.80 per 100 kg, che ha l’inconsapevolezza di un bimbo. «È dura. In queste settimane ha già sfondato quattro letti», ride Federica. «Lui non va in bagno da solo, non si lava le mani da solo. Lavarsi le mani spesso, come consigliano? Quasi impossibile. È come un bambino di pochi anni, ma ha la forza di un uomo».
Allora, nella difficoltà, Federica ricorre a qualche stratagemma. «Non mi vesto e non vesto lui. Rimaniamo in pigiama, perché vestirsi vuol dire, per lui, “uscita”».
Non c’è nessuno a dare una mano a Federica: nell’istituto dove Francesco era ricoverato, sono risultati positivi cinque ragazzi. Tornare lì è fuori questione. A Francesco hanno fatto il tampone. «Non una cosa facile», racconta Federica. «È venuta una dottoressa della Asl di Teramo, magrissima, gentilissima. Siamo scesi in pigiama sotto casa, ma fargli aprire la bocca, tirare fuori la lingua…» Non osa pensare a cosa succederebbe se il tampone dovesse essere positivo. Pensarlo intubato è una cosa che non vuole neanche considerare. Come non vuole considerare la possibilità che ad essere positiva al coronavirus possa essere lei. Per questo, da tempo, cerca di evitare qualunque contatto. Per questo, e per stare con Francesco, ha chiesto in ufficio di poter lavorare in modalità smart working.
Anche lavorare è una cosa molto difficile: «Lavoro in piedi», scherza Federica, «così sono sempre pronta a intervenire con lui. E faccio sessioni brevi, di mezz’ora ciascuna. Di più non riesco, perché Francesco ha esigenze continue, è irrequieto e non riesce neanche a esprimere quello che vuole: può essere il cibo, un film, un gioco». Non vuole rinunciare al lavoro, però. «È anche una valvola di sfogo, io dico che è la mia terapia psicologica!», scherza. «Mi tiene la mente sana. Lo stipendio, di cui ho pure bisogno, viene dopo».
A casa Placchetta non può venire nessuno, tranne a volte qualche amico che allunga la spesa, porta un dolce, qualche regalo consegnato a distanza di sicurezza. Con le medicine, poi è un’altra parentesi grigia: Francesco segue un piano terapeutico. «Non sono farmaci che trovo in farmacia, seguono un percorso diverso». E poi, sorride ancora Federica, chi ci riesce ad andare in farmacia. «Mio figlio a casa da solo, non posso lasciarlo. E neanche posso portarlo, è un tornado!».
L’impegno è davvero a tempo pieno. «Non so mai se dormirà tutta la notte, per lui non ci sono orari, Può essere sveglio alle tre di notte e per lui è mattino». È materna, Federica, quando racconta: «Vivo giorno per giorno, non sono un medico, non sono uno psicologo, ma sono sua mamma e capisco dai suoi occhi quando sta per succedere qualcosa. Poi aspetto che la crisi finisca. Lui darebbe perfino le testate al muro: devo esserci, per evitare che non si faccia male, che non faccia male al fratello.
Il fratello di Francesco, Carlo, è un adolescente. E anche lui è in trincea, adattandosi a una convivenza complicata che si somma all’isolamento forzato. «Che invidia per chi sta soltanto in isolamento», conclude Fede. «Ma come sempre, ce la faremo. Che altro possiamo fare?»

Fonte: ilcentro.it
31/03/2020