SLA, raccontare la malattia per rompere il silenzio

SLA, raccontare la malattia per rompere il silenzio

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Antonio Pinna racconta in un libro e in un documentario la malattia della sorella: un percorso doloroso, che lo ha messo in contatto con il mondo dei malati di SLA in Italia e con le loro complicate vite.

ROMA. Diventano sempre più numerosi i malati che decidono di uscire allo scoperto per raccontare la propria patologia. Una scelta dettata spesso dal desiderio di fare luce su malattie poco conosciute e sulle condizioni di vita che si trovano a sperimentare i diretti interessati e i familiari. Ma anche una decisione che non di rado comporta risvolti “terapeutici” o, quanto meno, benefici per chi sceglie di ricoprire il ruolo di testimonial. “Attenzione però a definire la malattia un dono. È un’espressione metaforica, non certo realistica”, avverte Antonio Pinna, autore lo scorso anno del volume “Il mio viaggio nella SLA” (Cuec) e del documentario “In men che non si dica”, realizzato insieme ad Antonello Carboni, che verrà trasmesso al Meeting della salute, in programma dal 18 al 24 agosto a Rimini. Per Pinna, ex dirigente scolastico e giornalista di Oristano, tutto è cominciato con la malattia della sorella.
Un percorso doloroso, sfociato nella perdita della congiunta, che ha messo l’autore in contatto con tanti uomini e donne colpiti dalla malattia. Così gli incontri con i pazienti, la partecipazione a convegni scientifici e a manifestazioni di protesta tra Cagliari e Roma, i colloqui con gli esperti diventano la base di un libro che svela la condizione dei malati di SLA in Italia. Ma il vero filo conduttore del volume e poi del documentario sono proprio le storie di un gruppo di pazienti: malati resilienti che hanno gettato il cuore oltre l’ostacolo, traendo forza ed energia per riannodare il passato personale con il presente della malattia. Tanti i ritratti presenti all’interno del libro, come quello del “sindacalista” Salvatore Usala, venuto a mancare nel 2016 durante un presidio di protesta. O Anicetto Scanu che, da malato, gestisce ancora l’emittente privata Radio Sardinia. E Giuseppe Punzoni, autore del volumetto autobiografico In men che non si dica da cui ha preso il titolo il documentario. Ma anche Pietro Palumbo, il malato più giovane d’Italia e sostenitore dello “SLA dream team”, il gruppo internazionale di ricerca sulla patologia, o Andrea Fanny, dj di Ales (Oristano) che ha fatto della sua passione per la musica uno strumento di sostegno alla ricerca biomedica. E infine l’inglese Julius Newman, malato da oltre dieci anni e residente a Monza: un uomo dotato di una vasta esperienza internazionale in un’importante azienda del settore delle reti e delle comunicazioni. L’ultimo capitolo del volume, s’intitola Che fare?: uno stimolo a favore dell’innovazione e della ricerca su una malattia complessa e “bastarda”, come la definiscono gli stessi pazienti. L’articolo di Antonella Patete è stato pubblicato sulle pagine di SuperAbile Inail.

Fonte: Redattore Sociale.it

04/01/2020