Volontari in ospedale, una presenza per aiutare i bambini a vincere la paura

Volontari in ospedale, una presenza per aiutare i bambini a vincere la paura

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Solo nelle 4 sedi dell’Ospedale pediatrico Bambino Gesù sono 600 i volontari: un numero pari a quello dei posti letto e dei medici. Sostengono le famiglie, rinnovano i locali, divertono i bambini e fanno da tramite tra medici e genitori. Sono soprattutto donne sopra i 50 anni. E qualcosa sta cambiando

ROMA – Per fare un volontario, non basta il cuore, specialmente accanto al letto di un ospedale. Ci vuole coraggio, ma anche competenza. Per questo l’0Ospedale pediatrico Bambin Gesù di Roma, che di volontari in corsia ne ha ben 600, ha appena inaugurato un percorso formativo rivolto a volontari vecchi e nuovi: prevede 7 incontri, tutti di sabato, da ottobre a marzo. E un numero massimo di 200 partecipanti. E’ una novità grande, che si è ritenuto necessario introdurre alla luce degli importanti cambiamenti che stanno avvenendo, sia all’interno dell’ospedale che nel volontariato stesso. Ce ne parla Francesca Rebecchini, consigliera d’amministrazione del Bambino Gesù con delega al volontariato.

Quanti sono i volontari presso la vostra struttura?

Vantiamo dei numeri non solo alti, ma piuttosto curiosi. Sulle nostre quattro sedi, abbiamo 600 volontari, 600 posti letto e 600 medici. Sono numeri e proporzioni che parlano. Tutti volontari sono iscritti ad una delle 116 associazioni accreditate con la struttura. Si tratta di un accreditamento internazionale, che si chiama JCI, che si basa su una serie di norme sanitarie, igieniche e di sicurezza. Possiamo dire, in altre parole, che tutti i volontari sono "patentati": è una novità, questa, che abbiamo introdotto dal 2012 e che riteniamo importante, perché ci aiuta a censire, ma anche a conoscere più da vicino le tante realtà associative che operano nelle nostre corsie.
116 associazioni sono molte. Come vi spiegate una presenza così numerosa?

Sì, sono decisamente molte, soprattutto se le confrontiamo con una realtà come quella del Policlinico Gemelli, in cui sono circa 40. Credo che esista una maggior propensione, da parte delle famiglie, a sostenere realtà che operano al fianco dei bambini malati. E qui parliamo di associazioni che, appunto, si autofinanziano, tramite il fundraising. E quindi hanno bisogno del sostegno delle famiglie.

Cosa fanno i volontari in ospedale?

Un po’ di tutto, non dobbiamo pensare solo a quelli che stanno al fianco dei pazienti e delle loro famiglie. Ci sono quelli che partecipano al rinnovo di alcuni reparti, o che prendono parte all’assistenza domiciliare, o che gestiscono strutture di accoglienza per le famiglie che arrivano da fuori. Poi ci sono psicologi, infermieri… E, accanto a questi 600 volontari "dentro l’ospedale", ce ne sono tanti altri che sono "dentro l’associazione" e qui svolgono tutte e attività necessarie per il sostengo dell’associazione stessa

Ritiene che il volontariato in ospedale sia indispensabile?

Posso affermare tranquillamente di sì. Lo è, non solo per il sostegno e l’aiuto pratico che porta, ma anche per l’immagine che trasmette dell’ospedale stesso, cioè per il modo in cui l’ospedale comunica con l’esterno

Chi sono i volontari in ospedale? Giovani, anziani, uomini, donne?

Soprattutto donne di una certa età, diciamo intorno ai 50-60 anni. Gli uomini rappresentano circa il 15% e anche i giovani sono una minoranza.

Come se lo spiega?

Credo abbia a che fare con l’impegno di tempo e la continuità che vengono richiesti. Parliamo di quattro ore, due volte a settimana. Per questo stiamo avviando un ragionamento e metidando un cambiamento. E vorremmo introdurre una formula più leggera, almeno nei reparti in cui non sia necessaria una presenza più stabile. Dobbiamo far ein modo che il volontariato del futuro sia eterogeneo e trasversale, più popolato di giovani (ma sopra i 20 anni) e uomini. Eventualmente pensando anche a un servizio di volontariato per il fine settimana

Qual è lo scopo del corso?

Innanzitutto fornire competenze, perché ci rendiamo conto che non basta il cuore, per svolgere bene questo servizio. Il volontario deve saper gestire situazioni difficili. Quando entra in una stanza e trova una famiglia molto sofferente, o in piena crisi, deve saper offrire la presenza giusta, capire quando è il momento di farsi da parte e quando invece può tornare a offrire il proprio sostegno. Capire come stare in silenzio e come ascoltare. E il corso vuole insegnare soprattutto questo, ci saranno sezioni dedicate proprio al silenzio. C’è però anche un altro obiettivo, che è quello di creare rete tra le tante associazioni: questo crediamo che sia fondamentale. E poi dobbiamo aiutare questi volontari a governare il cambiamento che sta avvenendo in ospedale

Quale cambiamento?

E’ un cambiamento globale: innanzitutto stiamo passando da una sistema basato sul ricovero e le lunghe degenze a uno basato sul day hospital: il bambino e la famiglia passano meno tempo in ospedale e più tempo a casa. Al tempo stesso c’è un ricambio maggiore e, purtroppo, anche l’aumento di alcune patologie, come certi tumori infantili. Il volontario deve sapersi adattare a questo sistema diverso. Un altro cambiamento importante è quello introdotto dalle tecnologie. Un esempio concreto: ora ogni letto ha la sua password per il wifi, visto che i bambini e le famiglie arrivano con tablet, telefoni, pc e l’esigenza di connettersi è forte. Ecco, tutte queste password vanno gestite: oggi è questa una delle attività in capo ai volontari, che si adeguano a fare pure questo, anche se non lo ritengo giusto. Per questo stiamo studiando dei sistemi di semplificazione, perché il volontario non si trovi a svolgere attività che non lo valorizzino.

Qual è la funzione più importante che, invece, il volontario può svolgere dentro l’ospedale?

Sicuramente fare da tramite tra famiglia e personale sanitario. Spesso accade che medici o infermieri ricorrano ai volontari per comunicare con le famiglie, spiegare le terapie, rendere consapevoli della malattia e del percorso che le attende. E poi ci sono figure fondamentali, come i clown che da anni sono presenti nel reparto dei prelievi: ridendo e scherzando, convincono i bambini a sottoporsi all’esame quasi senza accorgersene. Questo è meraviglioso, perché si parla tanto di ospedale senza dolore per i bambini, ma mentre tanto è stato fatto in termini di anestesie e di dolore fisico, molto più difficile è alleviare la sofferenza che viene dalla paura. E contro questa, i volontari possono fare davvero tanto. E speriamo possano farlo sempre di più e sempre meglio.

Fonte: Superabile.it

28/09/2016